È il primo Gruppo farmaceutico-diagnostico ad averlo conseguito per tutte le sue società italiane. Un percorso partito quasi un secolo fa: la prima donna dirigente, Alice Keller, lo divenne nel 1929. Sara Giussani, People&Culture Pharma Head Roche Italia, spiega l’importanza dell’obbiettivo raggiunto.
Roche è il primo Gruppo farmaceutico-diagnostico ad aver ricevuto la certificazione di parità di genere da UNITER per tutte le sue società italiane. Un riconoscimento che arriva pochi mesi dopo quello del Winning Women Institute: questo rende Roche un unicum nel panorama farmaceutico e diagnostico italiano. «Il nostro percorso è partito quasi un secolo fa: la nostra prima donna dirigente, Alice Keller, lo divenne nel 1929» racconta in questa intervista a Economy magazine Sara Giussani, People&Culture Pharma Head Roche Italia. Che ricorda: in Roche non abbiamo un pay gap, e ne siamo orgogliosi.
Giussani, qual è l’importanza di raggiungere questo obbiettivo per un’azienda come Roche Italia?
Il passaggio della certificazione penso che sia uno step fondamentale in un percorso che ha l’obiettivo di raggiungere la parità di genere: non parlo solo di Roche, ma della società nel suo complesso. Sappiamo che è un impegno assunto a livello nazionale e internazionale, dalle linee guida dell’Agenda Onu 2030 alle linee guida europee, quindi ormai è giustamente una questione prioritaria. C’è ancora bisogno intraprendere dei passi per rompere un po’ di paradigmi. La certificazione fa parte di questo percorso, è uno strumento concreto che permette alle aziende di mostrare non solo a parole ma con i fatti l’impegno nel garantire la parità di genere. La Certificazione UNI/PdR 125 del 2022 ha esattamente questo scopo. Ed è stata per noi la fotografia di un percorso che in realtà abbiamo iniziato quasi un secolo fa.
Addirittura?
Proprio così: Roche ha avuto la sua prima donna dirigente, Alice Keller, nel 1929. Abbiamo insomma una lunga storia in materia. Ma noi lavoriamo in un settore, quello farmaceutico, che è sulla buona strada. I recenti dati di Farmindustria dicono che il 43% degli addetti nel settore sono donne. In altri la percentuale è più bassa, magari non lontana dal 30%. Roche Italia con le sue tre divisioni (Farmaceutica, Diagnostica e Diabetes Care) ha una presenza del 51% di donne, poco più della metà: quindi abbiamo un’organizzazione veramente ben bilanciata.
1929! Siete un po’ degli antesignani…
Direi un po’ pionieri anche in questo. La diversity & inclusion è parte del nostro dna, non un obiettivo di per sé palesato solo negli ultimi anni. È una lente con cui guardiamo all’organizzazione. La storia di Alice Keller è significativa: entra con un ruolo amministrativo, poi prende un dottorato, e cresce fino a diventare direttore. Questo per me è l’esempio classico di come già 100 anni fa Roche guardasse in primis alle competenze, qualificando le persone indipendentemente dal genere. La diversità non è solo il genere. Ci sono diversità legate all’età, al background… La lente di cui dicevo è cercare invece di guardare esclusivamente al merito e all’impatto della persona e del suo lavoro oltre alla capacità di valorizzare ogni singolo individuo e l’unicità del suo pensiero. Nel 1929 era un’eccezione, adesso fortunatamente invece direi che è una prassi. Delle nostre donne il 53% hanno ruoli manageriali, di grande responsabilità. Abbiamo il 43% di donne dirigenti, il 42% nei board.
Questa certificazione si aggiunge ad un riconoscimento già ricevuto nell’autunno dell’anno scorso dal Winning Women Institute: in cosa consiste?
La certificazione di Winning Women Institute è una delle tappe fondamentali del nostro percorso che nel 2022 ha visto anche momenti di impegno istituzionale, quali la firma della Carta per le Pari Opportunità promossa dalla Fondazione Sodalitas appena siglata, di spazi informativi e formativi e di iniziative volte a sensibilizzare i colleghi rispetto all’importanza di saper abbracciare le differenze. La certificazione ha rappresentato un momento di riflessione per valutare le nostre prassi aziendali, dalla selezione allo sviluppo delle nostre persone. È stato un modo per avere anche spunti su dove possiamo ancora migliorare. Quindi per noi è stato un momento di messa in discussione. Una delle aree di forza che è emersa è la totale mancanza di gender pay gap. Ne siamo molto orgogliosi. Questa certificazione ha dimostrato che abbiamo servizi che cercano di supportare l’equità di genere. E quindi per esempio servizi che vanno a supporto del nucleo familiare, non solo della donna, che non ha necessariamente l’esclusività della cura della famiglia. Roche da sempre investe molto in servizi che tutelano il benessere a 360° delle sue persone, da quello fisico a quello mentale, fino al supporto nei bisogni quotidiani della vita anche extra lavorativa. Abbiamo per esempio un servizio che si chiama Equipe Salute, composto da un medico, da un assistente sociale e un counselor che lavorano insieme per aiutare il nostro dipendente in mille difficoltà che può affrontare, perché il benessere non è solo fisico. Quando ci si trova di fronte ad una difficoltà a volte c’è bisogno di un supporto psicologico, di qualcuno che indichi i servizi che già lo Stato offre perché magari non si ha il tempo di informarsi.
C’è un rapporto tra questo atteggiamento di Roche e il tipo di lavoro che svolgono i dipendenti, a sostegno di pazienti che hanno anche malattie molto serie?
Direi che c’è la stessa filosofia. Così come abbiamo a cuore il paziente, e quindi la nostra missione è tutelarlo sempre, la stessa attenzione noi la mettiamo nelle nostre persone. Abbiamo la stessa lente, con cui guardiamo dentro e fuori. Lo facciamo sempre in modo olistico e innovativo. Nell’innovazione c’è la qualità, la tipologia diversa di benefit che offriamo, la modalità con la quale tentiamo di far vivere diversamente le persone al lavoro: quindi in questo c’è molto parallelismo.
Avete in corso oppure in previsione dei progetti che possono anche ispirare aziende più piccole?
All’interno dei servizi e dei benefit di cui sopra, sicuramente continueremo con l’attenzione alla prevenzione della salute delle persone, anche questo è un tema – ritorno al parallelismo di prima – interno ed esterno. Esternamente abbiamo lanciato una campagna importantissima che si chiama Screening Routine, perché a causa della pandemia l’attività di prevenzione ha subito un forte arresto e noi stiamo lavorando per agevolarne la ripresa il più possibile. E come lo abbiamo fatto fuori lo stiamo facendo e continuiamo a farlo per le nostre persone, con delle campagne di medicina preventiva che sono personalizzate per genere ed età, in modo che ognuno abbia quello che più gli serve in termini di prevenzione. Continueremo ad investire anche sul benessere mentale delle persone e ad accompagnarle nei momenti di difficoltà, tanto nella vita privata quanto nel lavoro. Un circolo virtuoso sul quale nei prossimi mesi continueremo a lavorare con nuove campagne a sostegno delle nostre persone e dei loro nuclei familiari.
Ritiene che quello che porta alla certificazione di parità di genere sia un percorso utile per un numero più ampio di aziende?
Penso che sia fondamentale per dare alla società un segno forte di rilevanza del tema e di concretezza dell’impegno delle organizzazioni nel garantire la parità. C’è un duplice valore nella certificazione. Internamente alle organizzazioni come stimolo per migliorare la capacità di essere inclusivi. Esternamente per sancire un impegno verso l’intera società perché non è più accettabile avere ancora organizzazioni che non garantiscano equità. Non solo di genere, dovremmo avere a cuore anche quelle di età, di background, di esperienza, sono mille le dimensioni della diversità. Quando ricevere una certificazione di parità di genere non sarà più una notizia, potremo dire di aver avuto successo.
Fonte economymagazine.it articolo di Riccardo Venturi