05«Chi acquista ha fame di informazioni sui prodotti che sceglie»
Comprereste mai una maglietta da un bambino sfruttato?
Una domanda meno banale di quanto possa sembrare: su YouTube sta circolando un video che ha quasi raggiunto sette milioni di visualizzazioni.
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Mostra un distributore automatico di t-shirt a due euro, in centro a Berlino. Quando passanti o turisti inseriscono la moneta per acquistare il capo di vestiario iper-economico, nel box parte un filmato che racconta la filiera di quelle magliette: si vedono stabilimenti situati nei Paesi con la manodopera più a basso costo del mondo, donne e bambini costretti a orari di lavoro massacranti, anche sedici ore al giorno, per paghe inferiori ai tredici centesimi l’ora. Alla fine del video viene chiesto al potenziale cliente se è ancora deciso a comprare la maglietta o, piuttosto, a donare quei due euro.
Quasi tutti decidono di rinunciare allo shopping a basso costo e optano per il gesto solidale. Morale della favola? «I consumatori hanno fame di informazioni. Vogliono poter prendere scelte consapevoli rispetto a ciò che comprano».
Abbiamo chiesto a Claudia Strasserra di Bureau Veritas, società leader nei servizi di controllo e certificazione per la qualità, la salute, la sicurezza e l’ambiente cosa può fare un Organismo di Certificazione in merito.
“Il nostro lavoro è come quello di un notaio: dobbiamo certificare, con evidenze oggettive, che quanto dichiarato dalle aziende nei propri report di sostenibilità, o nelle proprie campagne di comunicazione, corrisponda al vero. Spesso si tratta di andare a ricostruire intere filiere produttive, mappare la storia di un prodotto, dal primo fornitore fino all’ultimo scaffale dove viene distribuito. Un lavoro che non è affatto facile: ci sono aziende a cui non interessa affrontare il problema. Vogliono soltanto che la merce venga consegnata nei tempi concordati, nelle quantità concordate.
Spesso si avvalgono dioutsourcers, altre volte sono gelose custodi del proprio know-how e non gradiscono fornire i propri “segreti” a una parte terza.
Un ultimo cruciale problema è che per alcune società è complesso risalire al percorso che dallo stabilimento di Shenzhen conduce alla Silicon Valley, soprattutto fra le grandi multinazionali. Tuttavia la resistenza da parte delle aziende a monitorare i propri processi produttivi sta cambiando, si sta affievolendo. In molte cominciano a capire che il rischio di veder crollare la propria reputazione è molto elevato.
Senza tornare indietro nei decenni a casi storici che riguardarono i comportamenti, per esempio, di Nike o di Nestlé, basti pensare a cosa è successo meno di un anno fa a Moncler, dopo che la trasmissione di Rai3, Report che aveva documentato la pratica dello spiumaggio delle oche.
Oppure il dibattito scatenato dalla recente inchiesta del New York Times, sulle condizioni dei lavoratori negli stabilimenti di Amazon.
Campagne stampa aggressive, ira dei consumatori (e nel caso di Moncler, la rabbia delle associazioni animaliste), richieste di chiarimenti ai vertici aziendali – un’azienda può dover affrontare ingenti perdite, in casi come questi. Ed è paradossale che le aziende più a rischio sono proprio quelle che decidono di comunicare con i propri clienti.
Mentire sulla propria comunicazione, magari vantando successi dove invece esistono zone d’ombra, è peggio che non aver comunicato affatto.
Si può avere una sorta di effetto boomerang.
Uno dei grandi stereotipi relativi ai problemi dello sfruttamento del lavoro, all’impatto ambientale di un’azienda o alla violazione dei più elementari diritti umani è quello che queste pratiche riguardino solo Paesi in via di sviluppo.
I casi che incontriamo non vengono affatto tutti dalla Cina o dalla Thailandia. Nelle filiere degli agrumi o dell’ortofrutticolo abbiamo diversi casi anche in Italia, dove paghiamo una carenza di controlli da parte delle autorità pubbliche.
Noi di Bureau Veritas siamo pur sempre dei privati che fanno queste certificazioni a uso e consumo del mercato e dei consumatori, su commissione delle imprese. Capita di controllare delle aziende con i nostri ispettori – fuori dall’orario lavorativo ufficiale, quando è più facile che si verifichino comportamenti dannosi – e chiedere se siano mai passati dei controlli pubblici: la risposta spesso è no”!