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Quali esigenze raccoglie la nuova certificazione sociale di prodotto?

Alcuni appunti dal convegno del 29 aprile

I driver primari della sostenibilità sono il rispetto per l’ambiente e una gestione trasparente. Il giudizio da parte del consumatore sull’informazione ad oggi disponibile riguardo a prodotti e servizi che acquista è piuttosto negativo e ben il 40% vorrebbe essere rassicurato da un ente super partes*.

Questi sono i dati da cui è partito il convegno tenutosi il 29 aprile in Assolombarda, presentati da Paolo Anselmi, Vice Presidente di GfK Eurisko, dopo il benvenuto di Vittorio Biondi, Direttore competitività territoriale, Ambiente ed Energia di Assolombarda.

Ma non solo. Guardando alle ultime ricerche* emergono altri spunti interessanti. Tra gli elementi che connotano la sostenibilità di un prodotto l’impatto ambientale gioca un ruolo di primo piano, ma l’etica/trasparenza si colloca altresì tra le caratteristiche di maggiore importanza. Un altro studio evidenzia, inoltre, che considerare gli aspetti di sostenibilità quando si deve scegliere un fornitore o si devono prendere decisioni di acquisto è ormai una realtà per il 96% delle aziende. Non a caso, l’impegno per una gestione sostenibile della filiera, si traduce per le aziende in un rafforzamento della performance commerciale, se associata ad iniziative di comunicazione.

Ad aggiungersi a queste percentuali, fa da sfondo il recepimento della Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici, che ha introdotto tra i criteri premianti dei bandi di gara pubblici, gli aspetti sociali di prodotti e servizi.

Queste le esigenze raccolte nel mercato che hanno portato alla nascita della prima certificazione sociale di prodotto “Social Footprint – Product Social Identity”, con lo scopo di colmare il gap di comunicazione tra azienda e consumatore e supportarlo in scelte d’acquisto informate e consapevoli.

Quella della Social Footprint è la storia di un’alleanza, ha detto Valeria Fazio, CR Solutions Manager DNV GL – Business Assurance “Tre dei principali organismi di certificazione (Bureau Veritas, Certiquality e DNV GL), partendo dalle domande del consumatore, hanno sviluppato una certificazione di prodotto che si concentra sugli aspetti sociali della filiera e che, attraverso un’etichetta, rende disponibile al consumatore informazioni sulla gestione della Supply Chain e sull’origine dei prodotti”.

Dietro l’etichetta” – ha aggiunto Claudia Strasserra, Social Responsibility Sector  Manager Bureau Veritas – “c’è un sistema di gestione delle informazioni sul prodotto e sulla relativa filiera che garantisce la rintracciabilità e l’affidabilità dei dati. Regole chiare e prassi consolidate, insomma: per ogni famiglia di prodotto è richiesta l’identificazione di ‘indicatori di profondità e di estensione’, il monitoraggio della filiera e del comportamento etico dei propri fornitori, nonché l’identificazione dei siti produttivi. La durata della certificazione è di tre anni ed è soggetta a verifiche di sorveglianza annuali.

A valle dell’iter di certificazione” – ha concluso Walter Bertozzi, Area Ispezioni e Certificazioni Certiquality, “le aziende potranno etichettare i propri prodotti con un’etichetta che, a seconda del numero di indicatori soddisfatti prevede due livelli: livello base, rappresentato dalle lettere ‘A’ e livello approfondito, rappresentato dalle lettere ‘AAA’. Con un unico obiettivo: rispondere ad alcuni interrogativi fondamentali per il consumatore: Chi? Dove? Da dove? Con quali garanzie?”

Gli Organismi di Certificazione hanno la responsabilità di verificare il sistema attuato dall’Organizzazione a fronte dei requisiti previsti dalla norma.

Al fine di testare l’efficacia dello strumento, è stato costituito un Comitato di stakeholder, rappresentativo degli interessi legati alla certificazione, a cui hanno aderito, tra gli altri, la Presidenza del Consiglio, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero delle Politiche agricole e Forestali, Confagricoltura, Fondazione Sodalitas, Fondazione Consumo Sostenibile.

Il lavoro è un risorsa limitata non rinnovabile: esprimere il valore sociale di un prodotto è una necessità per il mercato, ma soprattutto per i consumatori’ ha commentato Raffaele Tiscar, Vice Segretario Generale Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La questione etico-sociale di impresa e di prodotto è un aspetto sempre più messo in evidenza a livello internazionale. La necessità di dare garanzie e trasparenza al consumatore in merito alla catena di fornitura di un prodotto è un’esigenza sentita dal mercato.
La certificazione Social Footprint è un primo passo importante per valorizzare l’eticità di un prodotto e creare un dialogo con il consumatore
” ha aggiunto M. Benedetta Francesconi, Responsabile divisione VI, DGPICPMI, Ministero dello Sviluppo Economico, a conclusione della prima tranche di interventi.

La seconda tavola rotonda ha visto l’alternanza di testimonianze di primarie aziende appartenenti a diversi settori: dalla produzione, alla distribuzione, ai servizi, che avendo per prime intrapreso la strada della certificazione Social Footprint, hanno spiegato cosa le ha spinte a intraprendere questa strada e quali opportunità vi hanno intravisto, tanto nel mercato B2C che in quello B2B. Se Giovanni Corbetta, Direttore Generale Ecopneus, ha raccontato quanto il raggiungimento della tripla A sia stato fondamentale per coniugare il rispetto ambientale con quello sociale per la loro realtà, che ha fatto della sostenibilità la ragione stessa della loro esistenza grazie al business creato nel recupero di pneumatici fuori uso, Claudio Mazzini, Responsabile sostenibilità innovazione Coop Italia ha sollevato il problema del possibile ‘sovraffollamento’ in etichetta e dell’eventuale necessità di semplificazione dell’informazione, attraverso il QR-Code, peraltro già previsto dallo schema SFP. Maria Laura Cantarelli, Head of Public Affaire & Corporate Communication Nexive, ha raccontato quanto l’impegno per l’ottenimento di questa certificazione sia servito loro a conoscere di più l’azienda: con l’obiettivo della trasparenza, sono emerse informazioni strategiche per il business.

Un buon modo per smentire i pregiudizi sull’Italia e portare avanti le eccellenze del nostro Paese è quello di comunicare cosa si fa effettivamente per garantire sostenibilità del lavoro e rispettare i principi etici lungo tutta la catena di fornitura: non ha dubbi Giancarlo Dani, Amministratore Delegato del Gruppo Dani, sulla rilevanza di questa nuova certificazione per essere competitivi a livello internazionale.

Massimo Ceriotti, Responsabile Affari Generali Fondazione Sodalitas e Paolo Landi, Presidente Fondazione Consumo Sostenibile hanno poi concluso la tavola rotonda sottolineando l’importanza di dover considerare quanto poco tempo passa, soprattutto per quanto riguarda beni a basso costo e di uso quotidiano, tra la selezione/valutazione di un prodotto e la decisione d’acquisto. Il consumatore ha poco tempo: è essenziale fornire le informazioni che chiede in modo efficace ed in tempi rapidi.

Stimolati dalla moderatrice Laura La Posta, Il Sole 24 Ore, sono poi emerse alcune considerazioni dal pubblico, soprattutto sulla necessità che una certificazione come la Social Footprint favorisca la nascita di una cultura della sostenibilità, soprattutto tra le nuovi generazioni. Una sfida che la Social Footprint è già pronta a cogliere, per supportare il consumatore in scelte di acquisto sempre più informate e consapevoli.

* ricerca GFK Eurisko e Fondazione Sodalitas 2012

* ricerca supply chain GFK Eurisko e DNV GL 2014

* What’s your approach, GfK Eurisko for DNV GL Business Assurance, October 2013

Per ulteriori informazioni:

laura.bettinelli@it.bureauveritas.com

2015-10-14T20:39:10+01:00Maggio 5th, 2015|News|
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