Maurizio Quarta è CEO di Temporary Management & Capital Advisors e co-fondatore del gruppo internazionale SMW Senior Management Worldwide
In un contesto in cui i donor sono sempre più attenti e selettivi nello scegliere i beneficiari dei loro fondi, la partita, per gli operatori del Terzo Settore, si gioca su due punti cardine: accountability e credibilità. Abbiamo intervistato Maurizio Quarta, Fondatore e Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors e co-fondatore del gruppo internazionale SMW Senior Management Worldwide sul ruolo del management nel Terzo Settore che vede sempre più coinvolti in ruoli apicali dirigenti provenienti o dalla Direzione Risorse Umane di aziende sensibili al tema o imprenditori di medie aziende che si cimentano con ruoli Manageriali in modo volontario. Dr. Quarta in che modo ritiene che il management possa giocare un ruolo di rilancio in questo senso?
La crescente attenzione dei donatori, unita al sovraffollamento dei richiedenti, porterà ad una sorta di selezione naturale: solo entità capaci di gestire i fondi ricevuti in maniera responsabile e trasparente, tramite persone e processi credibili, potranno nel lungo termine prosperare e sopravvivere. Mutatis mutandis è lo stesso problema che hanno molte imprese, specie se di non grandi dimensioni, nel momento in cui cercano partner finanziari, investitori o finanziamenti dal mondo bancario. Manager più pronti, attenti e preparati veramente all’innovazione sono alla base del successo di molte organizzazioni, soprattutto se confrontati con esperienze internazionali dove i ruoli nel mondo della charity sono molto più rigorosi e trasparenti, mentre nel nostro paese, purtroppo, un numero ancora importante di Manager (o presunti tali, spesso operano maneggioni ed imbonitori) non è più all’altezza del ruolo.
Secondo Voi è quindi necessario innescare un processo di cambiamento culturale e manageriale?
All’estero uno strumento molto utilizzato dalle aziende del Terzo Settore è proprio quello del temporary e fractioned management, soprattutto nella sua funzione di introdurre e accelerare il cambiamento abbinata alla capacità di trasferire competenze manageriali in un contesto poco avvezzo e incline ad utilizzare figure senior. Si tratta di un processo innovativo e culturalmente non facile che, partendo dal recupero di trasparenza ed efficienza in tutte le aree operative, può modernamente pianificare e implementare un percorso di ricambio generazionale (ricordo il tema, sollevato in diversi congressi, della presenza di padri fondatori e di circoli ristretti a loro collegati), andando anche a rivedere l’insieme delle competenze necessarie ed alla massima compliance per poter arrivare ad una vera e propria sostenibilità economica dell’ente in questione. Serve però una spinta decisa ed un forte sostegno da parte del “CdA” (dove purtroppo ancora spesso operano istrioni che rallentano il processo di delega e innovazione pur in presenza di personalità note giacché fondatrici) perché decolli realmente e venga realizzato un modello di gestione capace di aumentare l’attrattività “donatoria” da parte degli stakeholder a vantaggio dell’ente (aumento delle donazioni liberali, del 5/8 x 1000, lasciti,..), migliorando l’efficienza e la linearità operativa con l’introduzione di nuova e più etica linfa dirigente.
Perché il Terzo Settore richiede nuove competenze manageriali? Quali indicazioni arrivano dalla vostra esperienza internazionale?
L’esperienza del nostro gruppo internazionale è molto diversificata e ha toccato entità tra loro molto diverse: si va da quelle che si occupano di fornire supporto nazionale a famiglie e ragazzi disagiati o supporto abitativo a famiglie in difficoltà piuttosto che tutelare le vedove di guerra o rimediare ai danni generati da operazioni militari, a organizzazioni Croce Rossa–like a charities le più svariate. Le aziende sono molto sensibili ad accoppiare il loro brand ad attività di charity ma stanno anche molto attente a che, questo binomio virtuoso, non si riveli un boomerang negativo e quindi sono molto attente a far sì che le cose vadano col massimo della buona reputazione. In Italia, si sono verificate molte situazioni poi risaltate sui media mondiali di aziende o gruppi che – nonostante sotto Dlg 231/01 o presuntamente molto attente – sono cascate, inciampando – in errori di valutazione o “culpa in negligendo” che in un altro paese avrebbero rappresentato criticità molto complicate e di sicuro molte dimissioni ed operazioni di rilancio. Questa ampia casistica ci consente di identificare due macro-tipologie di strutture con i relativi processi decisionali di acquisto di soluzioni di temporary management. Da un lato, troviamo la grande organizzazione strutturata, spesso presente in diversi paesi, assimilabile a grandi gruppi internazionali e multinazionali e che come questi opera con vari gradi di competenze manageriali. Dall’altro, l’organizzazione in fase di crescita e sviluppo, in piena transizione da struttura prevalentemente volontaristica a struttura managerialmente più organica. Questa, assimilabile alle PMI di matrice familiare e imprenditoriale, compra e acquisisce soprattutto competenze manageriali; in essa assumono grande importanza il lavoro sulla chimica manager – nucleo fondatore e quello sulle variabili più soft dell’organizzazione; cliente/decisore è tipicamente il fondatore/nucleo fondatore.
Avete qualche esempio specifico sulle modalità di intervento?
Abbiamo gestito complessi interventi di turnaround a seguito di eventi dannosi per l’immagine e la reputazione dell’entità, gestiti ad esempio attraverso l’inserimento di un CEO temporary per avviare e impostare rapidamente il cambiamento e trovare con più calma il successore per il lungo termine; oppure interventi mirati a spersonalizzare strutture anche grandi dove esiste un padre-padrone, quasi un monarca assoluto, per dare una gestione manageriale dopo lunghi anni di gestioni monocratiche, attraverso l’inserimento di un CEO, ma anche di Board Member. In Italia purtroppo sovente le ex onlus o le aziende che a loro si accostano, quando si presenta una brutta crisi reputazionale piuttosto spendono decine di migliaia di euro per impostare piani mediatici di contro comunicazione per provare a stemperare nel tempo il ricordo di una frode o di crimini ancor più pesanti per la legge, come la sicurezza la parità di genere, la privacy… Forse dieci anni fa si poteva anche tentare questa strada,… oggi NO. Gli stakeholder che sempre più vedono coinvolti giovani preparati ed etici hanno mostrato di avere la memoria lunga…e per una Onlus una débâcle molto altisonante sui media rappresenta una difficoltà ed un onere pesantissimo per tentare di riconquistare la fiducia dei donatori. Lo dicono anche le ultime statistiche (quelle non addomesticate da burocratici o che vivono per raccontare le mezze verità o addirittura le falsità di comodo). A livello esecutivo, vediamo invece interventi di ottimizzazione funzionale legati alla necessità di gestire e controllare processi di crescita accelerata (es. HR, Finanza, IT, Comunicazione – Reputation, Funding … in sempre più alta crescita), piuttosto che l’inserimento di ruoli specialistici (Social Care, Planning, Policy, Devolution Process).
Avete riscontrato difficoltà “ambientali” e relazionali tra tessuto volontaristico di base e manager esterni portatori di nuovi principi, valori e metodi operativi?
Un problema rilevante – almeno per l’Italia (all’estero è tutto più facile…l’opinione pubblica stronca Ministri e politici e società anche ben note, mentre in Italia gelosie e settori che sono piccoli staterelli personali ostacolano le evoluzioni) – è la percezione di possibile minaccia che il manager esterno rappresenta per i rapporti “privilegiati” con il nucleo fondatore consolidatisi nel tempo: unica soluzione il forte sostegno di proprietà e organi direttivi dell’ente. In tutto questo, un supporto decisivo deve arrivare da un’intensa attività di comunicazione interna a tutti i livelli (associati, dipendenti e collaboratori, volontari) per dare la giusta visibilità ai risultati di lungo termine ottenibili dall’intervento, partendo dall’autovalutazione di cosa non funziona e perché non si è riusciti a non far funzionare la macchina come atteso, soprattutto dagli stakeholder. Comunicazione vuol dire creare motivazione e consenso, anche da parte dei nuclei storici più retrivi. Soprattutto è importante portare a casa dei primi concreti risultati positivi da cui le persone possano ricavare conferma della bontà della scelta.
All’estero sono diffuse metodologie e strumenti di prevenzione del rischio che sono gli “attrezzi” in uso dei Manager, soprattutto quelli a contratto (spesso gli stessi Manager possiedono certificazioni sulla loro professionalità). Qual è la vostra posizione sull’argomento?
Senza dubbio, Manager meglio qualificati o sistemi di gestione innovativi aiutano sia i Manager a portare Innovazione sia ad applicarla. In Italia, paese restio al cambiamento/miglioramento un valido elemento di sostegno al processo di cambiamento può essere rappresentato dallo Schema di Certificazione OLC 2015 di Aachen: si tratta di un modello sviluppato ed elaborato da esperti di compliance e di Terzo Settore per consentire ad organizzazioni del Terzo Settore di accedere ad un percorso di distinzione per dimostrare i propri peculiari fattori di trasparenza gestionale oltre che di qualità. L’adozione dello Schema è su base volontaria ed è rivolta a tutte le organizzazioni che vogliano evidenziare e certificare la propria capacità nel gestire al meglio le risorse (materiali ed umane) di cui hanno disponibilità per realizzare la loro specifica missione. E comunque proprio perché gli italiani del Terzo Settore sono ancora all’anno zero, in termini di certificazione, non è certamente all’avanguardia perché qualsiasi forma di certificazione, per quanto accurata, sofisticata e precisa, per avere successo ha infatti bisogno di tre elementi che devono andare ad incastrarsi alla perfezione tra di loro:
- apprezzamento da parte degli stakeholder: sono i donor che devono iniziare a farsi parte attiva nel richiederla sollecitando le organizzazioni a dimostrare con i fatti le loro intenzioni verbali di voler accrescere reputazione e trasparenza
- maggiore è l’apprezzamento dei donor, maggiore sarà l’apprezzamento da parte del mercato utilizzatore, soprattutto da parte delle aziende (storicamente super certificate e che quindi riconoscono nella organizzazione del Terzo Settore un soggetto di interesse e minor rischio): ovvero bisogna far capire il valore aggiunto che essa può dare ad un ente del Terzo Settore, specie se assimilabile ad una PMI che può solo che averne enormi ritorni di immagine
- sostenibilità economica: più è accurata e più è prevedibile che il mercato la apprezzerà e sosterrà – del resto – le organizzazioni che hanno per prime intrapreso il percorso di auditing secondo i canoni della terzietà, sono quelle che meglio stanno andando sia economicamente che reputazionalmente
Autore: Maurizio Quarta CEO di Temporary Management & Capital Advisors e co-fondatore del gruppo internazionale SMW Senior Management Worldwide ( www.tmcadvisor.com ). Dopo una carriera manageriale in gruppi internazionali (Olivetti, Manuli Rubber, Kone Elevators e McKinsey), da diversi anni è Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors, tra le società italiane più note. E’ uno dei quattro fondatori di SMW Senior Management Worldwide, gruppo internazionale che opera con 25 partner in 28 paesi nel mondo, dagli USA all’Australia a livello istituzionale per sviluppare la cultura del temporary anche attraverso enti del Terzo Settore (tra i fondatori della prima associazione nata in Italia, Atema; Board Advisor di Leading Network). Guida in Italia il Chapter di IIM – Institute of Interim Management, associazione inglese dei temporary manager ed è Vice Presidente di Confassociazioni Management. Ha creato con ISTUD www.temporary-management.com. Giornalista pubblicista e socio della Stampa Estera di Milano, ove è stato Consigliere, scrive sulle principali testate di management. Ha pubblicato volumi di management per Franco Angeli e per EGEA. Nel non profit, è nel Comitato Scientifico della Fondazione Giancarlo Quarta che lavora sui delicati temi del rapporto medico-paziente.
Comunicazione a cura della Redazione con il contributo di Aachen