Ultimamente abbiamo pubblicato un’intervista alla prima organizzazione qualificata come organismo di certificazione in Italia secondo lo schema OLC, ovvero l’unico schema di certificazione attivo al momento in Italia per qualificare reputazionalmente le organizzazioni del Terzo Settore. Oggi beneficiamo del contributo di chi opera (senza sovrapporsi eticamente a chi poi si occupa delle fase ispettive per l’emissione dei certificati di conformità) come consulente e Manager di ex onlus: il Prof. Alessandro Diano.
Buon giorno Dr. Diano e grazie per la sua disponibilità. Lei è un solido esperto di schemi di certificazione avendo operato nei percorsi ISO di diverse aziende, ma è anche fortemente coinvolto nel Terzo Settore svolgendo attività di consulenza e di formazione, oltre che di volontariato. Si parla molto di schemi di certificazione (ancora non molto in uso nel Terzo Settore) : qual è la sua idea in merito?
Buongiorno a Voi e ai Vs. lettori. Riguardo le certificazioni, posso dire come nel mio percorso professionale ( nato nel mondo evoluto delle telecomunicazioni mobili nel ns. Paese) sono stato testimone diretto di quanto sia sempre utile -tra diverse aziende e interessi- accordarsi su seri e riconosciuti comuni standard operativi – e di qualità– che prescindano dal singolo operatore telefonico e dal relativo singolare interesse di parte. Il nostro interesse pubblico (e dunque plurale) come utenti, infatti, è quello di un degno e utile servizio come quello che ci si deve aspettare da tutti gli operatori di un settore, e dovrebbe valere sia in ambito aziendale quanto nel meraviglioso mondo delle organizzazioni non lucrative di attività sociale. Al netto delle singole “buone volontà” delle ONLUS, inizialmente la loro priorità infatti è stata quella di conformarsi ai dettami delle prime leggi di riforma, mentre il successivo intento di aprirsi ad altri strumenti più “operativi” ha poi presentato oggettive difficoltà, risolvibili solo con strutturati schemi reputazionali, la cui adozione è oggi ancor più fondamentale per le diverse attività di fund raising (campagne, crowdfunding, sponsorship, eventi), come anche dei vari strumenti di sussidiarietà fiscale che nel mondo del Terzo Settore costituiscono un’importante fonte nel mix strategico della loro sostenibilità finanziaria.
Cosa distingue uno schema come OLC da altri aspetti legati alla riforma? E come può essere utile alle organizzazioni del Terzo Settore? Ed in particolare quali organizzazioni?
In estrema sintesi, credo anch’io come lo schema proprietario OLC 2015 rappresenti la “summa” metodologica elaborata da professionisti che operano da tre decenni nel delicato settore delle certificazioni, ed è decisamente utile per ogni Associazione che voglia distinguersi secondo precisi criteri qualitativi. Articolando un po’ meglio, diciamo anche che l’introduzione in ordinamento per la prima volta del concetto giuridico di “responsabilità diretta” dell’ente collettivo (anche per gli eventuali illeciti commessi nel suo interesse da persone fisiche), risale al decreto legislativo nr. 231 dell’8 Giugno 2001, per cui nelle aziende l’adozione di un sistema di gestione ISO 37001 può essere parte del “Modello di Organizzazione e Gestione” da adottare ai sensi proprio del D.Lgs. 231/01 per tutelarsi opportunamente. Analogamente, pure nel Terzo Settore è possibile, consigliabile (e direi pure doveroso, per distinguersi dai dilettanti o da chi usa il terzo settore per azioni anche illegali ) tutelarsi da azioni legali potendo dimostrare di aver adottato -e attuato efficacemente- un modello di Organizzazione, Gestione e Controllo idoneo a prevenire eventuali errori -come anche eventuali ipotetici reati- pur se in relativa buona fede dei singoli. E dunque tutte le serie organizzazioni che desiderano rilanciarsi con efficacia, o che necessitano di migliorare costantemente il loro posizionamento, possono dotarsi di un utile strumento -innovativo e rigoroso- come “sicurezza” per evitare il coinvolgimento dell’Ente (p.es. invocando la limitazione/esclusione della propria responsabilità conseguente ai reati previsti dall’ordinamento) con un adeguato Modello Organizzativo e affidandosi a un Organismo di Vigilanza che ne controlli attentamente l’attuazione.
E’ ormai risaputo che le attività di funding sono in rapida e costante decrescita. Quanto secondo Lei la scarsa reputazione e gli scandali hanno influito su questa tendenza?
Credo che abbiano influito sensibilmente, pure con l’aggravante di rischiare generalizzazioni pericolose: la reputazione personale e sociale infatti si costruisce in anni ma -giustamente- si può perdere con estrema rapidità per vari errori dove non basta la “buona volontà” di operare, e anche gli utenti e i finanziatori (privati & corporate) lo sanno bene. Operare infatti con provato metodo riconosciuto serve all’Associazione per distinguersi per affidabilità e reputazione, mentre a me utente consente di sapere con certezza come sto investendo, a cosa partecipo, etc., con in più la ragionevole sicurezza di supportare un serio bilancio sociale e di sostenibilità, non certo redatto per soddisfare le esigenze e le aspettative di asseverazione da parte dei portatori d’interesse.
Secondo Lei, perché ancora molte organizzazioni del Terzo Settore sono titubanti nell’intraprendere strade di innovazione reputazionale, magari utilizzando lo strumento OLC?
Avendo avuto una mia discreta esperienza nel mondo della telefonia innovativa, potrei dire allegoricamente che mentre il primo iPhone è stato commercializzato nel 2007, le mitiche “schede telefoniche” post-gettone (appena dismesso solo pochi anni prima) sono rimaste in vendita per una dozzina d’anni in più e sono ufficialmente scomparse solo dal 2019. Per analogia, probabilmente alcuni soci e consiglieri di qualche Associazione temono ancora un po’ il cambiamento (peraltro sempre in corso fin dalle origini del mondo…), magari senza neppure accorgersi quanto si rischia di essere anacronistici, per esempio, utilizzando il telefax in un mondo dove -già ora- pure i veicoli si acquistano via piattaforme social di messaggistica. E dunque ben venga un “sistema terzo” di certificazione che possa davvero (e finalmente) garantire a chiunque (Associazioni, Utenti e Investitori) la serietà di uno standard riconosciuto & trasparente che -non essendo disposto a coprire le magagne nascoste- favorisca l’affidabilità di quel Terzo Settore che serve per la tranquillità di tutti gli operatori seri e scrupolosi.
Lei svolge molta attività formativa, sia a figure apicali che a dipendenti. Qual è il sentimento della dirigenza delle organizzazioni del Terzo Settore alle necessità di innovare velocemente ed efficacemente?
I responsabili hanno il comprensibile e fisiologico timore di chiunque ci tenga seriamente a ciò che fa: minimizzare tempo & risorse da investire, per massimizzare il raggiungimento dei propri scopi sociali. E certificare il proprio operato serve soprattutto a non auto-assolversi sui propri oggettivi margini di miglioramento, a impegnarsi con reale efficacia verso gli obbiettivi statutari e a costruire nel tempo una seria reputazione – da rinnovare periodicamente- sempre nell’interesse di tutto l’ecosistema Associativo che opera con professionalità in complemento all’approccio fiduciario (che da solo non basta). Anch’io, in uno dei miei ruoli di “ facilitatore nell’ottenimento di sensibili risultati ( funzione di presales per la filiale Italiana di una multinazionale estera nel settore dell’Automotive quindi settore di altissima competitività ) mi accorgo quanta importanza abbiano oggi gli aspetti reputazionali gli stakeholder rispetto a soli 10 anni fa.
Da quali stimoli un’esperienza aziendale ultra trentennale di “metodi standard” e di Tecnologia ICT come la sua, porta nel tempo a interessarsi e a rivolgersi anche al Terzo Settore?
Essenzialmente perché spesso in ambito aziendale prevale l’aspetto economico a scapito del sociale in cui invece co-esistono importanti realtà Associative (altrettanto operative) dove -per dirla giuridicamente- si svolge degnamente (ma con tutti i crismi e la serietà di una ISO strutturata) quella “autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, ad elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, favorendo la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona, a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli articoli 2, 3, 4, 9, 18 e 118 della Costituzione”, che personalmente ritengo essere una delle più belle definizioni delle preziose attività sociali di cui da anni si occupa meravigliosamente il Terzo Settore.
ALESSANDRO DIANO
Ha studiato discipline della ricerca psicologico-sociale laureandosi successivamente in Scienze Sociali e Politiche. Manager di lunga militanza in aziende multinazionali è anche Consulente di Direzione e Formatore Corporate presso primarie aziende nei settori TLC, Food ed Energy. Esperto di Sistemi di gestione, dal 2006 promuove la condivisione delle “best practices” che aiutino la trasformazione delle potenzialità strategiche organizzative in concreti risultati operativi. Opera da diversi anni per committenti Privati e Pubblici su tematiche legate alla Quality Assurance e Reputation Competitiveness. Collabora da alcuni anni come volontario presso alcune organizzazioni del terzo settore per il miglioramento strategico ed operativo. “Far crescere quelli attorno a sé, aiutarli a migliorare, questa per me è l’essenza della Leadership.” (Riccardo Pitti – Già campione di basket, Speaker motivazionale, Mental Coach e Corporate Trainer, 25 Giugno 2021)